lunedì 16 marzo 2009

Intervista a Penelope Guzman

Vi sono diversi modi per “approcciare” un romanzo giallo. Quando poi l’autore è un esordiente questo approccio si colora di una particolare sfumatura di curiosità e legittima aspettativa.

Eliott Parker, giallista esordiente nel panorama italiano, ha deciso questa volta di parlarci del suo romanzo “Penelope Guzman – Il colpevole” in una forma originale che non può non stuzzicare la nostra curiosità. Infatti piuttosto che raccontarci la trama del libro, Parker ci ha messo in contatto direttamente con la sua protagonista, Penelope. Una detective statunitense intelligente ed affascinante, conosciuta per la sua abilità e professionalità. Una donna dalla personalità complessa e multiforme, un intrigante mix di dolcezza e riflessività, impulsività e determinazione.

Andiamo quindi a conoscerla, con un’intervista esclusiva che spazia dalle sue indagini criminali agli aspetti meno conosciuti e più interessanti della sua vita personale.

- Ciao Penelope. La prima domanda è: quale è il tuo lavoro?

Risolvere casi ingarbugliati che la polizia non riesce a sbrogliare… e mi faccio pagare bene per farlo!

- Quanto reputi importante il lavoro nella tua vita?

Quando sono al lavoro in una scala da 1 a 10, 10. Quando decido di staccare, 0. Sempre che il lavoro non bussi alla porta della mia mente, il che accade spesso…

- Hai mai rotto un rapporto per colpa del lavoro?

Sì, anche rapporti importanti. E sarebbe ipocrita e falso dire che non erano rapporti veri.

- Credi che l’aspetto fisico sia importante nel lavoro

Sì, certo. Sarebbe irrealistico dire il contrario. In molte occasioni aiuta…e in molte occasioni ha aiutato anche me!

- Parliamo un po’ di te… quali sono i tuoi principali interessi?

Allora… mi piace uscire con gli amici, magari per una bella cena seguita magari da un bel film. Mi piacciono le vacanze, una bella spiaggia assolata o un bel parco di divertimenti sono il massimo per me. Non amo molto leggere e la sera a casa preferisco guardare la TV, LOST e CSI su tutto. Quando devo riflettere mi piace fare un bel giro sul mio Maggiolone cabrio o fare due passi tra i negozi. Quando poi voglio stare sola c’è una birreria che mi aspetta per un bel whiskey al miele…

- Sei innamorata? Sei mai stata innamorata?

Sì, sono stata innamorata. Ultimamente però sono più distaccata, ho maturato una certa “scorza”… forse per proteggermi?

- Descrivici il momento più bello della tua vita

Una spiaggia, tanti anni fa. Un uomo mi stringe. Tanto calore.

- Parlaci adesso del momento più brutto

La stessa spiaggia. Lo stesso uomo, tempo dopo. Sto piangendo. Il sole tramonta e fa molto freddo. Freddo dentro di me.

- Hai tanti amici?

No, ho pochi amici. Prima o poi indagherò sul perché, si preannuncia un’indagine interessante!

- Hai un animale domestico?

Il mio piccolo Felix!

- Quali sono i tuoi metodi anti – stress?

Ve ne sono molti ma il principale è una bella sigaretta… lo potete scrivere nell’intervista?

- Una considerazione più generale… cosa pensi della donna nella nostra società?

Che il primo limite di noi donne siamo noi stesse. Smettiamo di piangerci addosso e facciamo vedere di che pasta siamo fatte!

- Per l’ultima domanda torniamo al tuo lavoro… come ti presenti ad un nuovo cliente?

«So chi è lei, signor… E per quanto riguarda me, io sono la persona che sta aspettando. Sono Penelope. Penelope Guzman.»

martedì 3 marzo 2009

Il tratto che ci unisce

Cinzia Demi ha anime molteplici. O meglio, una anima grande, tanto da contenere, come in un sorprendente juke-box, varie anime o canzoni. In queste pagine, la dolcissima infaticabile Cinzia, ci dà le pagine di un suo diario, facendo per così dire un passo indietro, o forse in avanti, rispetto alla giovialità accesa con cui solitamente si presenta e di cui è tessuta ad esempio quell’altra sua recente opera di semiserissimo omaggio a Dante. Qui, un poco discosta dunque, e cedendo spazio a più ombre e a più modulazioni di lumi, lascia andare in una specie di continuum poematico, se pur offerto a brani, a lacerti, il diario suo minimo e profondo. I letterati di mestiere vedranno in controluce Caproni in certi andantini sorpresi e acuti, o sonderanno quanto l’omaggio alla poesia della Szimborska scenda dalle citazioni ai tessuti e a talune felici smagliature dello sguardo. Così come, le presenze di Pasolini e Fortini, e dell’ultima sezione civile, provvedono a rammentare la natura mai intimista del personale percorso della Demi. La sua è una poesia tesa a rammagliare il mondo. Una lotta per non dare perduto nulla delle relazioni principali, e dei tesori della percezione anche occasionale. Una poesia di veglia, e di una veglia che brucia sia ai margini della città contemporanea e dei suoi vivissimi drammi, sia nel luogo feriale e femminile, la cucina. Un libro che ha sempre qualcosa in tavola: troverete pane, torte, anche tagliatelle. Su una tavola però colta nei momenti soprattutto di preparazione, e specialmente di quella preparazione quasi magica, di pienissima solitudine che però è al tempo stesso vivissima partecipazione al mondo e alle persone care che è la preparazione di notte.

Sono quelle strane veglie femminili di cui vediamo i segni –noi che di notte spesso conosciamo le strade fino all’alba- in rare finestre illuminate, in alte specole di condomini, quasi come disperse luci votive mentre la notte cambia colore. In quella veglia solitaria e popolata di attesa, di dialoghi muti con le presenze necessarie, Cinzia Demi trova lo spazio, tra visioni e movimenti da filastrocca, tra tensioni da madre e illuminazioni di figlia, per sentire il tessuto della sua vita nel mondo. Ma non si pensi a una poesia da “nido”, né a qualcosa di patetico-familistico. Il biglietto su cui i genitori segnarono una data antecedente alla sua nascita, o la tesa attenzione alla figlia, sono i dolci artigli che rompono la scena del presente e aprono al viaggio, fatto pure a tentoni, che connette il passato e il futuro e, in definitiva, aprono all’interrogarsi sul tempo e sul suo significato. Non a caso, il nome per quanto intimidito di Dio, imparato e ripetuto con sapore di fede profonda e popolare, non può trattenersi dal fiorire in questa poesia come nome a cui rivolgere l’invocazione aperta e fiduciosa sul senso misterioso del destino. Le partizioni del libro, se si eccettua l’ultima sezione, diseguale, non sono cesure ma segnali per indicare lievi rotazioni della prospettiva. La voce però batte sulle medesime corde, il controllo musaico dei versi non cede, e l’attenzione vigile sulle misure, segno di un lavoro colto e curioso, ci offrono infine una raccolta compatta, e, secondo la campitura permessa dalle architetture profonde di questa voce, posso dire compiuta. (Davide Rondoni)